mercoledì 12 Marzo 2025
spot_img
HomeMondo GolfNewsIl divino 9 ci racconta perché il golf merita rispetto

Il divino 9 ci racconta perché il golf merita rispetto

C’è un significato nell’impostazione numerica che da centocinquant’anni accompagna il gioco più praticato al mondo? A Saint Andrews, il Vaticano del golf mondiale, non danno risposta certa ma fanno capire che il linguaggio dei numeri sul campo e le simbologie che essi esprimono sono cosa seria

-

C’è un significato nell’impostazione numerica che da centocinquant’anni accompagna il gioco più praticato al mondo? A Saint Andrews, il Vaticano del golf mondiale, non danno risposta certa ma fanno capire che il linguaggio dei numeri sul campo e le simbologie che essi esprimono sono cosa seria

Soltanto corde né troppo tese né troppo rilassate sono in grado di suonare una buona melodia (Buddha, l’Illuminato, VI sec. a.C.)

Nove buche. Binomio riduttivo ma sacro. Quante volte lo abbiamo pronunciato? Oppure 18 buche, binomio solare, per la competizione. Il par medio del campo prevede 72 colpi, 7+2 = 9. I punti Stableford sono 36: 3+6 = ancora 9. Anche il diametro della buca, che totalizza 108 millimetri, è composto da numeri la cui somma è 9. Se per arrivare al green con maestria usate il ferro 9 o il legno 9 (qualche tradizionalista lo ha ancora nella sacca) in Scozia commentano: “Non potevi sbagliare: hai impugnato il divino nove, the nine divine…”. Il 9 è il ferro maestro di timing.

Le regole del golf, per il mondo intero, partono tutte dal Royal & Ancient Golf Club of Saint Andrews. Amano dissentire, qualche volta, i golfisti messicani e statunitensi. C’è un significato dietro quest’impostazione numerica che da almeno centocinquant’anni accompagna il gioco più praticato al mondo? A Saint Andrews, il Vaticano del golf mondiale, non danno risposta certa ma fanno capire che il linguaggio dei numeri del golf e le simbologie che essi esprimono sono cosa seria.

A esempio, rievocano il giorno in cui il numero delle buche di un campo medio di Scozia passò da 13-15 al rigoroso 18. Accadde nella seconda metà dell’Ottocento. Prima si giocava su campi la cui lunghezza era dettata dalla docilità o dalla praticabilità del terreno, quasi sempre avaro soprattutto lungo la costa, spesso impervia, battuta dal vento salmastro che non permetteva di tracciare links ampi e lunghi. La parola links deriva dal termine inglese antico hlinc che significa collina o cresta di dune, la cui erba dura favoriva il rotolare della pallina e non richiedeva grandi cure. La lunghezza del campo spesso era dunque affidata alla natura.

I primi Open Championships, la più prestigiosa gara del mondo, aperta ai professionisti inglesi, a metà Ottocento, si svolgono su 12 o 14 buche. Due giri in un giorno, meno di dieci chilometri a piedi. Quando si adotta il 9 e i suoi multipli, i campi diventano tutti a 18 buche. Fino al 1850 in Scozia, dove il gioco nacque, c’erano 30 golf club (links), in Inghilterra meno di una decina. Alla fine del secolo, nel Regno Unito i circoli erano diventati 2000. Oggi sono 2500 per 4 milioni di dilettanti inglesi più o meno assidui.
Entriamo ora in un capitolo affascinante della storia del gioco che amiamo. All’inizio dell’800 la gestione dei campi scozzesi passa dalla nobiltà (indebolita dalle scarse rendite terriere a causa dell’emigrazione verso il Nordamerica di contadini e pastori) alla nascente e forte borghesia in parte massonica. Alcuni circoli attorno a Edimburgo diventano Logge, con ritualità e rigore laici: giacca rossa o verde, come quella messa in palio oggi al Masters, il grande torneo di Augusta, in Usa; riunione o agape (convito fraterno) alle ore 16 dopo la competizione giocata rigorosamente con formula medal, cioè con conteggio a colpi: vince chi ne tira meno.

Sono rare le testimonianze: i massoni membri di una grande Chiesa laica, per rispetto dei temi trattati nel corso dei loro “lavori”, non lasciano scritti. Si sa di una lettera di fine ‘700 che è entrata nella storia del golf. Dal Nuovo Mondo, il presidente di un circolo dell’allora provinciale New Jersey (oggi lo Stato più popoloso degli Usa) scrive ai clubmakers bravi fratelli artigiani di Edimburgo: mandateci 250 palline, 10 brassie (oggi ferro 2), 15 spoon (oggi legno 3), 20 mashie niblick (oggi ferro 7) e… 12 grembiuli per il rito.

La cultura massonica attinge dalla Bibbia e dall’Oriente (sono intensi, quando essa si diffonde, i contatti e i commerci con l’India induista e l’Asia buddista). Nella numerologia di queste culture, il 9 è il numero simbolo dell’Assoluto immutabile, l’universo è pieno di suoi multipli: moltiplicato per sé stesso o per qualsiasi altro numero, il 9 dà un risultato i cui componenti danno sempre per somma 9. Tre volte tre, tre per tre, ossia la perfezione al quadrato. Nove sono le finestrelle dei campanili romanici disegnati dal 1100 dai frati architetti comacini.

Il percorso dunque ha 18 buche, 108 millimetri è il diametro di ogni buca nella quale è infilata la bandiera, 108 sono anche i grani del japamala, la corona di preghiera orientale (sincope, cioè contrazione, di 10.800, ovvero la metà dei respiri umani nelle 24 ore che sono in tutto 21.600, il soffio vitale divino, numero sempre multiplo di 9). In tutta la cultura esoterica, dunque, il 9 è il numero simbolo della vitalità e totalità divina.

Qualche cenno, ora, alla mistica e alla poesia segnate dal numero 9. Quando Dante scrive la Vita Nuova, 31 liriche e 42 capitoli, alternanza di versi e prosa, pensa a una “vita rinnovata” dall’incontro con Beatrice e dall’amore che rende il “cuor gentile”: si tratta, cioè, del racconto traslato di un rinnovamento spirituale. All’inizio dell’opera, Dante ci riferisce di aver incontrato Beatrice per la prima volta a 9 anni, poi la rivede a 18 anni, sempre all’ora nona (le 15). Si nota una strana coincidenza: Beatrice è sempre accompagnata dal numero 9, che è il numero simbolo della Trinità, sul cui ritmo si svolge tutta la vita animale e vegetale del pianeta. È il Brahma shankhya degli induisti (il numero divino) con i suoi multipli. Nove sono i pianeti solari, nove i mesi di gravidanza.

Beatrice, figura angelica ed esemplare dell’amore riacceso, sarebbe scesa in terra per salvare Dante. Quindi, la storia d’amore cui è dedicata l’opera non è la personale storia d’amore del poeta, ma la storia d’amore dell’Universo intero tra il Creatore e il Creato, tra Narayana (Dio) e Nara (Uomo) ossia, per gli esegeti del Corano, dei Veda e dei Vangeli, tra Dio e l’Uomo.

Qualcuno si chiederà: questi voli nell’iperuranio dello spirito hanno qualcosa a che fare col mio modesto swing? Le mie frequenti miserie in Campo pratica sono accostabili a queste grandezze? Proviamo a interpretare la nostra danza spesso instabile di corpo e spirito e avremo delle belle sorprese.

Nella realizzazione dello swing, il movimento primario, il golf affina il dominio del corpo, la concentrazione, l’armonia e la sincronizzazione dei gesti tesi a colpire la pallina con energia e tempo proporzionali alla distanza del volo che le si vuole imporre. Più armonico è il movimento, più preciso sarà il tiro. Il golf è dunque uno sport di misura, non di distanza e questo lo sappiamo. Però, attenzione. Lo swing sarà perfetto se il giocatore, affinata la tecnica di gioco, saprà anche fermare la mente, esercizio che prelude al tentativo di prendere contatto con il proprio Sé più profondo, cioè la propria anima, traguardo ambito dalle discipline orientali o dello yoga, come abbiamo detto sopra.
Il player inoltre dovrà far tacere le proprie emozioni e tirare senza “voler” colpire, in sincronia e armonia silenziose di corpo e spirito. Il silenzio favorisce la concentrazione e il fluire del gesto. L’armonia del movimento attrae come una calamita altre armonie invisibili, così come la positività richiama altra positività, come il bene richiama altro bene.

Ed ecco la sintesi: il golf è un gioco magico di mind and soul, mente e anima. Il giocatore sarà un buon golfista quando il suo swing armonico e compatto partirà dal suo inconscio, cioè dalla parte non razionale di sé, piuttosto che dalla costruzione mentale, allorché, come insegnano le discipline zen, il giocatore sarà tutt’uno con la propria pallina e con il mondo che lo circonda e il suo colpo sarà assolutamente naturale e istintivo, quindi perfetto. Indipendentemente dall’handicap. Come naturale e istintiva è la pratica zen applicata al tiro con l’arco (ricordate Lo zen e il tiro con l’arco di Eugen Herrigel?) o al vivere quotidiano: si è immersi nell’universo quando si è parte armonica di esso. Quando si mangia perché si ha fame e si dorme perché si ha sonno. Quando si ama, si compie il proprio dovere, si evitano i conflitti, si persegue la pace.

Così per il golf: l’ampiezza dello swing, come sappiamo, dev’essere in armonia con la velocità di esecuzione, con la posizione del corpo, con la compattezza del tiro. Ne uscirà una danza che favorirà la perfezione dell’impatto e il percorso corretto della pallina fino all’obiettivo, causa di una gioia profonda che ha una misteriosa origine interiore. Come misteriosa è la gioia prodotta in ogni essere umano, in ogni tempo, da ogni gioco di palla la cui forma non ha né inizio né fine, figura simbolo dell’infinito.

Ha scritto un grande saggio: “Provate ad accontentarvi di un movimento elegante e rilassato, senza troppe ambizioni e ne verrà fuori un colpo da incorniciare. Mettetevi in testa che il golf è più grande di voi, non si lascia dominare. Non c’è modo di piegarlo alla vostra volontà che deve trovare un’intesa con lui”. Il golf è un paradosso zen, un koan, come dicono in Oriente, cioè uno sforzarsi e un non sforzarsi.

Continua il saggio: “Svuotatevi delle passioni, perseguite l’atarassia. Non è possibile giocare bene a golf se si provano ansia, paura, gelosia, invidia, arroganza. Il golf è un processo di catarsi. Una liberazione progressiva del Sé (grande) dal sé (piccolo)”.

Linguaggio troppo ermetico? Proviamo a interpretare: il Sé grande è l’anima universale, una, imperitura, onnipresente, che si manifesta nel sé piccolo, l’anima individuale. Nelle due cosiddette dimensioni, grande e piccola, essa è animatrice di ogni manifestazione che appare alla nostra percezione sensoriale. Cioè tutto ciò che vediamo è figlio o prodotto o specchio di quest’Uno universale.
Anche il golf? Provate a spedire la palla più lontana colpendola più forte e rotolerà miseramente a dieci metri dai vostri piedi. Il golf non è soltanto metafora della vita, è vita concentrata. In nessun altro sport si può apprezzare la verità della massima: fai quel che devi, accada quel che può. Forse anche per queste ragioni il golf è il gioco più praticato al mondo con oltre 70 milioni di appassionati.
Dall’apprendistato alla perfezione ci sono infinite tappe intermedie, tutte ricche di soddisfazioni, tutte frutto di esercizio e impegno costanti. Il golf merita rispetto da parte di chi lo pratica nella competizione, nel comportamento, nella lealtà, nella vita di Circolo. Le regole di etichetta hanno questo scopo, non sono un complemento estetico all’orgoglio di appartenenza. Se, giocando, si possono far vibrare corde così sottili dell’anima, come disse l’illuminato principe Siddharta, cioè né troppo tese né troppo rilassate, questo nostro gioco merita davvero rispetto.

Fortunati golfisti. Buon gioco e buon divertimento.

Newsletter

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Roberto Zoldan
Roberto Zoldan
Roberto ”Bob” Zoldan è entrato in punta di piedi nell’Aigg trent’anni fa. Ha abbassato i tacchi per mettere insieme uno swing accettabile e arrivare, nella stagione più felice, a hcp 22. Li ha rialzati per andarsene dalla semivetta delle classifiche ma soprattutto per seguirci felice su tutti i campi d’Italia che ci hanno ospitati. Da giornalista ha diretto a cuor leggero cinque settimanali a grande diffusione nazionale. È stato corrispondente da Parigi quando i pezzi si dettavano ancora al telefono in R, Reversibile, cioè a carico del destinatario. Caporedattore al Sole 24 ore e al Gazzettino di Venezia, ha scritto di storia e una biografia di Pertini, presentata al Quirinale, che il Grande Vecchio definì ‘la più bella’. Ha coordinato la stesura della Storia del Golf Club Milano del quale è Socio Vitalizio anche per i meriti di cronista-golfista.
Associati a AIGG

Più letti

Al via il Campionato Nazionale Open dedicato a Franco Chimenti

0
Sul percorso del Golf Nazionale, a Sutri (VT), si conclude la stagione dell’Italian Pro Tour con un evento di prestigio per ricordare il Presidente della Federgolf. Difende il titolo Enrico Di Nitto

Newsletter

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.