giovedì 26 Dicembre 2024
spot_img
HomeViaggiI grandi campiRoyal County Down, bello e impossibile

Royal County Down, bello e impossibile

Per Golf Digest è il campo non americano numero uno al mondo

-

Per Golf Digest è il campo non americano numero uno al mondo

La rivista americana Golf Digest, una delle più autorevoli nel panorama della stampa golfistica mondiale, ogni due anni stila la classifica dei campi più belli del mondo. Per la verità ne prepara due: una riservata ai percorsi presenti negli USA e un’altra dedicata a tutti gli altri sparsi per il pianeta.

Per il biennio 2024/2025, secondo il giudizio di Golf Digest, il campo più bello del mondo fuori dagli Stati Uniti è il Royal County Down di Newcastle, nel Nord Irlanda, a poco meno di un’ora di macchina a sud di Belfast. Bisogna dire che questo prestigioso riconoscimento non rappresenta una novità in quanto il percorso figura da decenni in queste classifiche non andando mai oltre la quinta posizione. In ogni caso è sempre stato giudicato il miglior links del mondo. Un titolo decisamente meritato per quanti hanno avuto il piacere di visitarlo e di giocare le sue straordinarie 18 buche.

La storia del Royal County Down Golf Club comincia nel marzo del 1889 quando un gruppo di imprenditori di Belfast decise di costruire un campo da golf su una striscia di terra antistante la Dundrum Bay, il tratto di mare che si trova davanti alla cittadina di Newcastle. L’idea era stata stimolata dalla recente costruzione di una nuova linea ferroviaria che collegava Belfast a Newcastle e il campo da golf poteva rappresentare un’attrattiva turistica interessante.

Proprio per questi stessi motivi molti storici links britannici si trovano a ridosso della ferrovia come Carnoustie o Royal Troon. Inizialmente furono realizzate nove buche, ma si pensò subito a un ampliamento. I soci decisero di affidare questo compito alla “firma” più in voga a quei tempi nel design golfistico: il grande Old Tom Morris. Per la somma di 4 guinee Morris accettò l’incarico di visionare il campo e predisporre il progetto. In breve tempo modificò alcune delle buche esistenti e aggiunse le altre nove, tanto che nel luglio del 1890 furono inagurate le 18 buche del County Down Golf Club (il patrocinio reale arrivò nel 1908 per concessione di re Edoardo VII). Bisogna ammettere, però, che l’ottimo lavoro di Morris trovò uno splendido alleato in una natura assai generosa che sembrava aver creato quel lembo di sabbia affacciato sul mare esclusivamente per ospitare un grande campo da golf. Negli anni successivi una mezza dozzina tra architetti e giocatori intervenne per modificare qui e là il percorso soprattutto per renderlo meno impegnativo. Tra questi si distinse Harry Colt che modificò la 4 e la 9 facendole entrare nella speciale graduatoria delle buche più fotografate del golf mondiale. Dal 1925 il percorso del Royal County Down è rimasto sostanzialmete immutato, salvo l’intervento effettuato nel 2004 per rifare completamente la buca 16. Il risultato del lavoro inziato da Tom Morris e sviluppato da altri influenti personaggi della storia del golf come Harry Vardon, James Braid, JH Taylor e Ben Sayers, è un campo straordinario che in ogni suo angolo emana un fascino brutale e selvaggio. L’entrata del circolo è quanto di più anonimo si possa immaginare: dopo aver attraversato il parcheggio dello Slieve Donard, l’hotel in stile vittoriano che si trova a due passi dal campo, si oltrepassa un modesto cancello in ferro battuto con una piccola insegna dove a fatica si legge il nome del campo. Il visitatore non ha certo l’impressione di entrare in quello che è considerato il campo più bello del mondo!

La clubhouse è un edificio piuttosto grande senza particolari ambizioni architettoniche quasi completamente ricostruita nel 2005 ricalcando lo stile di quella originale del 1894 della quale conserva ancora alcuni locali. Non è facile ammetterlo, ma il Royal County Down non è un campo propriamente “democratico” in quanto non è per tutte le tasche (il green fee si aggira sui 500 euro e se si vuole un caddie se ne devono aggiungere altri 100) e per tutte le sacche (per chi ha un handicap con qualche doppio colpo il giro può trasformarsi in un viaggio all’inferno, golfistico ovviamente). Vedere giocatori che dopo quattro o cinque buche tornano di corsa al pro-shop per acquistare un’altra dozzina di palline dopo averne perse altrettante è abbastanza normale. In più i visitatori possono accedere al campo solo in alcuni giorni della settimana. Però un giro sulle 18 buche del tracciato Championship del Royal County Down resta sempre un’esperienza unica e indimenticabile. Il campo è impegnativo e se non si possiede un gioco più che solido e una discreta distanza dal tee il rischio di trascorrere più tempo in mezzo all’erica e alle ginestre piuttosto che in fairway è molto alto. Le prime nove buche del percorso, realizzate a ridosso del mare, sono uno spettacolo da togliere quasi il fiato: belle da morire e difficili da giocare. Adagiate tra dune di sabbia molto alte, nella tipica tradizione dei links irlandesi, e contornate da infiniti cespugli della micidiale “gorse” pronta ad inghiottire i colpi fuori linea, le buche iniziali del Royal County Down sembrano, allo stesso tempo, intimidire e attrarre il giocatore. La buca d’apertura, un par 5 dritto con ai lati delle dune alte che impediscono allo sguardo di andare oltre la loro cima, non sembra preludere a quella bellezza selvaggia che il giocatore incontrerà più avanti.

Quando, però, dal green della prima buca ci si trasferisce sul tee rialzato della 2, lo scenario cambia di colpo. A destra appare la spiaggia della Dundrum Bay con le onde del mare che sembrano accarezzare il bordo del campo mentre a sinistra si apre il panorama su gran parte delle prime nove buche del campo offrendo uno spettacolo davvero straordinario. Il rischio per il giocatore è di farsi distrarre da questa visione e affrontare la buca, una delle più difficili del campo, senza la dovuta attenzione. Tra le caratteristiche principali del Royal County Down c’è la presenza di diverse buche cieche, sia nei colpi dal tee che in quelli verso il green. Per aiutare il giocatore a orientarsi meglio sono state posizionate delle pietre bianche, ben visibili dai battitori, le quali indicano la direzione consigliata del tee shot. Per i colpi alla bandiera, invece, bisogna fare affidamento agli alti pali colorati di bianco e di nero che si trovano dietro i green.

Qualcuno può storcere il naso sul fatto che il campo più bello del mondo abbia alcune buche senza visuale, ma Tommy Armour, celebrato campione degli anni ‘30, osservò con acuta arguzia che “non ci sia cosa come un colpo cieco che un golfista ricordi nel tempo.” In ogni caso, qualunque sia lo score ottenuto nelle prime tre buche del campo, nulla potrà mai rovinare l’emozione che attende il golfista quando sale sul tee del par 3 della 4, il punto più alto del campo, dal quale si domina quasi tutta la prima parte del tracciato e offre sullo sfondo la vista dello Slieve Donard, la cima più alta delle Mourne Montains, il gruppo montuoso che sovrasta Newcastle. Se la sorte regala una giornata di sole, ci si trova davanti a una cartolina dai colori cangianti e a un panorama ineguagliabile. Non a caso è una delle buche più fotografate al mondo come lo è la 9, un par 4 di quasi 440 metri, che inizia con
un colpo cieco verso una profonda depressione posizionata a quasi 150 metri dal tee. Sullo sfondo, dietro al green protetto da alcuni bunker e da due dune che ne restringono l’accesso, si staglia la vista della club house e di Newcastle. Le seconde nove buche, che dal punto di vista del design e del valore tecnico mantengono lo stesso livello della prima parte del tracciato, non hanno, però, lo stesso impatto scenografico anche se il divario è
piuttosto contenuto. Si sviluppano maggiormente verso l’interno in un contesto meno caratterizzato dalle dune di sabbia e con una vegetazione più marcata.

Ci si allontana un po’ dal mare del quale, però, se ne percepisce ancora l’odore e se ne avverte sempre il rumore. Particolarmente impegnativa è la 13, un par 4 di oltre 400 metri con accentuato dog-leg a destra che ti fa intravedere il green solo nella parte finale della buca. Il par 4 più corto del Royal County Down è la 16, di poco superiore ai 300 metri. Pensare, però, che sia una buca di riposo (su questo campo non ne esistono) è sbagliato. Con un fairway che pende da sinistra a destra, quasi a costringere la corsa della pallina verso un costone dove il rough arriva alle ginocchia, il tee shot deve essere di una precisione chirurgica. La buca finale è un par 5 di media lunghezza, rinnovato profondamente nel 1997, caratterizzato da un fairway piuttosto stretto e dalla presenza di numerosi bunker su entrambi i lati della buca. Proprio i bunker sono una delle insidie più temute del Royal County Down. Li chiamano i “beard bunker”, i bunker barbuti, con il rough attorno ai bordi lasciato volutamente incolto e alto per costringere i giocatori a uscirne solo con buoni colpi. Nonostante le sue eccezionali caratteristiche tecniche e spettacolari il Royal County Down non ha mai ospitato l’Open Championship e nemmeno fa parte delle “rota” dei campi che ospitano il più antico Major del golf mondiale. Un fatto decisamente strano. Dicono che ciò sia dovuto soprattutto a una logistica non troppo felice (limitata ricettività alberghiera della zona, spazi non adatti per l’allestimento del villaggio commerciale e delle tribune, viabilità non adeguata, ecc.). In passato, comunque, questo percorso ha ospitato eventi di assoluto rilievo come quattro edizioni dell’Irish Open (1928, 1935, 2015 e 2024), una Walker Cup (2007), tre Senior Open Championship (2000, 2001 e 2002), oltre a numerosi tornei internazionali Amateur sia maschili che femminili.

Sulle meravigliose 18 buche del Royal County Down, comunque, hanno giocato i migliori giocatori di ogni epoca, dai grandi del passato come Arnold Palmer, Gary Player e Jack Nicklaus, ai protagonisti più recenti quali Tiger Woods e Rory McIlroy, venuti spesso su questo campo per preparare l’Open Championship. Per tutti vale il giudizio espresso da Tom Watson, uno che di links se ne intende come pochi altri al mondo con le sue 5 Claret Jugs vinte in carriera: “Le prime nove buche di questo campo sono tra le più belle che abbia mai giocato. E’ un links puro nel più vero senso della parola. Un test tremendo per il gioco di ognuno. Il consiglio che posso dare è di essere sempre dritti dal tee. Se vi allontanate dal fairway lo fate a vostro rischio e pericolo.”

Newsletter

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Roberto Roversi
Roberto Roversi
Trent’anni fa era già un giornalista quando gli è venuta la malsana idea di giocare a golf. Successivamente ha avuto anche la presunzione di scriverne su alcune delle riviste di settore più importanti occupandosi di turismo golfistico. Finchè il fisico glielo ha permesso ha avuto una discreta confidenza con il par. Da un po’ di tempo, però, ha instaurato una relazione complicata con il doppio bogey.
Associati a AIGG

Più letti

Il lago dei birdie

0
Come un balletto, di buca in buca attorno al Maggiore. Dieci Circoli per 171 buche. Una più bella dell’altra.

Newsletter

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.